Nel terzo appuntamento della nuova stagione di “The Spreaker Dispatch”, la rubrica su Questioni d’orecchio promossa e curata dal team di Spreaker, intervistiamo Marica Esposito, podcaster del programma Spreaker Prime, creatrice di Mentre morivo e NAP Non un altro podcast. Classe 1992, è una copywriter e content creator. Ha iniziato a scrivere Mentre Morivo nel 2020 per dare voce alle donne uccise in vicende mai chiarite. A microfono spento continua a raccontare, in questo caso ricette e vicende legate al mondo vegan, ambientalista e di lotta alla diet culture. Al suo fianco Stefano DM, che si occupa della parte tecnica, e Gatto Undici, un rosso dispensatore di fusa e mangiatore di crocchette.
Cosa significa la parola “podcast” per te? Come e quando hai deciso di fare Mentre Morivo?
«Il mondo del podcasting mi affascina da tempo. Da bambina stavo spesso con mio nonno e lui aveva sempre una radiolina con sé: per la musica, le partite di calcio, le notizie. La voce degli sconosciuti/amici ci faceva compagnia e riempiva le stanze. Forse la fascinazione verso questo mezzo è partita da lì: per me oggi significa trovare uno spazio lento, complesso eppure alla portata di tutti, che basa tutto su qualcosa che viene da dentro. La voce, d’altronde, tocca corde emozionali e forse arriva a fondo.
Per lavoro creo contenuti digitali ogni giorno: foto, video, ricette, testi scritti. Nel 2020 ho attraversato un brutto momento, così ho avuto bisogno di fare qualcosa che non fosse soltanto lavoro e che potesse liberare la mia creatività. Il podcasting italiano era davvero agli albori e mi ci sono buttata senza sapere bene cosa facessi, avevo solo voglia di raccontare storie da un altro punto di vista. Il true crime mi appassiona ma ero stanca di sentire storie incentrate sull’assassino o sulla voglia di scavare nel torbido. Mentre Morivo è nato così, prendendo in prestito il titolo di un libro di William Faulkner, forse per esorcizzare anche una grande paura che ho della morte e dell’oblio. C’è una frase che dice “Ricordo mio padre che diceva sempre che la ragione per cui si viveva era per prepararsi a restare morti tanto tempo”».
Quale era il tuo obiettivo quando hai iniziato Mentre Morivo? Che evoluzione c’è stata per te? Nap è un progetto a sè stante?
«Non credo avessi un vero e proprio obiettivo se non quello di ricordare le vittime delle vicende terribili in cui mi imbatto. Sono in genere molto scettica e razionale ma dico spesso che le donne di cui parlo, in qualche modo, sono venute a cercarmi. Chi si sente donna ha per me un potere esplosivo, qualcosa che difficilmente svanisce dopo la morte. Ecco perché è ancora più triste saperne di abbandonate, calpestate, dimenticate. Quando leggevo di Annarella Bracci, di Cristina Golinucci, di Nada Cella, non riuscivo a credere che a ricordarsi di loro potesse rimanere solo chi le aveva conosciute in vita: la trovavo un’ingiustizia troppo grande. Nel mio piccolo volevo garantire uno spazio virtuale in cui continuare a parlare di tutte loro con la delicatezza e l’umanità che meritano.
A livello tecnico c’è stata invece un’evoluzione immensa e non credo sia finita, visto che sia io sia Stefano DM siamo completi autodidatti in merito. Si nota molto perché le puntate, nel corso delle registrazioni, sono cambiate spesso: prima a cadenza varia, poi mensile. All’inizio numerate, con l’idea di una fine, poi libere, perché idealmente (purtroppo) una fine non potrà davvero esserci. Nel corso delle storie Stefano ha affinato le tecniche di montaggio, abbiamo cercato di trovare un’impronta davvero nostra in cui la voce e il testo potessero legarsi con il sottofondo. Per ora credo ci siamo riusciti, ma non penso sarò mai soddisfatta.
NAP invece è divertimento puro, andiamo più a braccio e io posso avere la libertà di cimentarmi in vicende diverse. Non ci siamo di certo inventati il format a due, ma continuavo a pensare che mancava un podcast in cui anche le storie paranormali potessero avere una dignità al di là delle creepypasta. In realtà giochiamo molto sul mio scetticismo e sul suo amore per quello che succede “al di là dal velo”».
Tra quelle che hai scelto di raccontare, c’è forse una storia che ti ha colpito di più, di MM e Nap?
«Per quanto riguarda MM il caso di Serena Mollicone, ad esempio, è forse quello che più tra tutti mi ha fatto arrabbiare. Parliamo di una vicenda che è piena di insabbiamenti e depistaggi al limite dell’inverosimile. Il caso è stato riaperto dopo 21 anni, eppure anche dopo il primo grado di giudizio gli imputati sono stati assolti. È una storia ancora più terribile se pensiamo che sembra essersi svolto tutto all’interno di una caserma, un luogo in cui i cittadini dovrebbero sentirsi al sicuro, e invece molto spesso, per tante storie che conosciamo, non è così. Anche la storia di Cristina Golinucci mi ritorna spesso in mente, soprattutto perché sua mamma Marisa non si è mai arresa e con una forza apparentemente inesauribile si batte da trent’anni per ritrovare i resti di sua figlia, scomparsa nei pressi di una chiesa.
In NAP, invece, parto spesso per la tangente e alla fine tra decine di fonti ne trovo sempre una che porta lontano, come nella tana del Bianconiglio: le storie vere sono spesso, al di là della banalità, più intriganti di qualsiasi film noir! E così parlando del cosiddetto “uomo di Somerton” mi sono imbattuta in un preziosissimo libro perso nel cuore del Titanic e che oggi varrebbe una fortuna! Quelle che racconta Stefano, invece, sono tutte storie che mi lasciano spiazzata: alieni, misteriose sparizioni…».
Cosa pensi di Spreaker e del programma Prime?
«Ho sempre usato questa piattaforma per ascoltare e radunare tutti i miei podcast preferiti, soprattutto nella sua versione app la trovo lineare e facile da utilizzare. Se voglio ascoltare qualcosa, di fatto, apro Spreaker. Quando è nata l’idea di Mentre Morivo, quindi, già sapevo dove caricare le mie puntate e in effetti si è rivelata forse la parte più immediata di tutto il lavoro. Senza il programma Prime, lo ammetto, forse MM non sarebbe durato così tanto: grazie al supporto e alla fiducia che ci ha dato il team abbiamo davvero iniziato a pensare che forse il nostro podcast era qualcosa di valore che valeva la pena portare avanti con impegno e continuità. Il programma Prime ci ha permesso di non avere limiti di tempo, di cominciare a pensare in grande e poter reinvestire i guadagni in attrezzatura (le prime puntate le ho registrate solamente con uno smartphone!)».
La cosa più strana o curiosa che ti è capitata relativamente ai tuoi podcast?
«Forse la cosa più strana che mi succede è quando qualcuno che segue da anni il mio lavoro da “influencer” si rende conto, d’improvviso, che sono anche “quella del podcast”. Quando succede mi accorgo di quella magia di cui parlavamo prima, cioè dell’intensità che può avere la voce e del rapporto così diverso che si instaura con chi si ascolta, anziché con chi si vede. Ogni tanto, poi, mi accorgo di piccole coincidenze che mi fanno sorridere, che forse suoneranno stupide ma che per me hanno un valore particolare. Ad esempio mentre consultavo le fonti sul caso di Angela Telesca, ho dovuto organizzare un viaggio a Torino: insomma, una volta sul posto e a puntata pubblicata, mi sono resa conto di essere nella stessa strada dove Angela era stata uccisa, a qualche condominio di distanza».
Come ti immagini che sia il tuo ascoltatore, pensi sia diverso tra MM e Nap?
«Io mi immagino circondata da donne. Forse mi ripeto, ma è un’energia che amo avere affianco e in cui mi sento protetta. In realtà credo che i miei ascoltatori siano abbastanza eterogenei e me li immagino un po’ come me, sempre immersi in tante cose diverse, con tanti interessi e passioni. Gli ascoltatori di NAP, invece, hanno sicuramente un umorismo pungente e un po’ inglese: per sopportare i nostri sproloqui in libertà non potrebbe essere altrimenti».
Cosa pensi che facciano i tuoi ascoltatori mentre ti ascoltano?
«Mentre Morivo è un podcast decisamente immersivo, per questo le puntate non sono mai troppo lunghe: credo si presti bene ad essere ascoltato mentre si sta sul divano dopo una giornata di lavoro, o quando si è a pranzo da soli e si ha voglia di compagnia, oppure, se come me vi concilia il sonno, prima di dormire. Io per contro sono un’ascoltatrice multitasking: nelle cuffiette ho sempre un podcast mentre sto facendo qualcos’altro, mi aiuta paradossalmente a concentrarmi meglio. Forse perché faccio un lavoro in larga parte solitario e manuale: quando cucino, scatto e poi pulisco tutto. La miglior compagnia per me è un podcast, ed ecco perché non ne ho mai abbastanza! Sicuramente i miei ascoltatori avranno MM nelle orecchie mentre sono diretti al lavoro o in università, oppure mentre fanno le pulizie: tutti ascoltiamo podcast durante le pulizie, no?».
Quali sono i podcast che ascolti? Qual è il podcast che avresti voluto fare tu?
«Ne ho ascoltati e ne ascolto tantissimi e diversi, non solo true-crime, mi interessano anche quelli di approfondimento come Terra – La filiera sporca o Ci vuole una scienza. Nei miei preferiti Spreaker ci sono Indagini de Il Post, Morgana di Murgia e Tagliaferri, Camposanto di Giulia Depentor, Bouquet of Madness. Ultimamente ho invece apprezzato molto Love bombing, il podcast di Roberta Lippi che mi ha fatto capire quanto questa tecnica di manipolazione sia adoperata pressoché in ogni ambito della nostra vita; Proprio a me di Selvaggia Lucarelli sui rapporti disfunzionali, ma anche Rumore e La città dei vivi, rispettivamente sul caso Aldrovandi e Varani. Veleno di Pablo Trincia ha, secondo me, disegnato una linea di confine tra il prima e il dopo dei podcast in Italia. Apprezzo tantissimo il suo lavoro e credo abbia portato a un livello altissimo l’audio reportage: non avrei mai potuto farlo io, ma sicuramente gli invidio il talento, lo studio, l’esperienza».
Che consigli o suggerimenti daresti ad una persona che vuole avviare un suo podcast?
«Di farlo subito, senza neanche pensarci. Ci sarà sempre spazio per le storie, non bisogna aver paura di non trovare la propria nicchia o aspettare di diventare esperti prima di cominciare. Ognuno di noi ha in sé competenze uniche, così come il proprio vissuto: qualsiasi sia la cosa che ti va di raccontare, fallo! Se potessi tornare indietro non mi darei nessun consiglio, avrei potuto avere le idee ben chiare fin da subito, ma mi sarei persa un pezzo del viaggio, imparando sicuramente meno cose. Quindi nessun suggerimento, se non creare un account su Spreaker, mettere su carta quello che si ha in testa e partire a registrare».
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