L’identità dei podcast spesso è determinata in gran parte dal modo in cui si sceglie di sonorizzarli.
Per chi non è esperto però può essere molto difficile decidere quale tipo di anima sonora dare al proprio progetto. Quali accortezze si possono prendere per realizzare un sound design efficace? A che cosa bisogna fare attenzione? Come allenare le orecchie?
Qualche mese fa ho avuto l’opportunità di chiederlo ad alcuni dei più bravi sound designer del nostro Paese, riuniti a Roma per un panel moderato dalla sottoscritta e organizzato da Emons nell’ambito del festival “Libri per le tue orecchie. Edizione podcast”.
Ecco i loro consigli.
1. «Attenzione a come usi il silenzio»
Antonio Junior Antonaglia (Audioplot)
«A volte per evidenziare un concetto, un momento o una situazione il silenzio assoluto è più importante di un suono. Il sound design non deve essere per forza ricco di informazioni».
2. «Lavora il più possibile a contatto con la regia»
Elisa Nancy Natali (Audioplot)
«Una storia si può raccontare in mille modi diversi. Lavorare gomito a gomito con con la regia permette di andare in un’unica direzione, invece di dover andare poi a zig zag e cambiare mood. Perché magari ci possono essere delle intuizioni che funzionano ma che non vanno bene per il regista».
3. «Fatti ispirare da chi ha più esperienza di te»
Luciano Zirilli (Tracce.studio)
«Quando sono nati i podcast, era un po’ terra di nessuno. Adesso non è più così: ci sono un sacco di montatori e sound designer molto bravi. Consiglio di ascoltare tantissimi, tantissimi podcast. Io ho iniziato così. Quando ho iniziato già erano usciti, per esempio, La città dei vivi o Il dito di Dio. Ascoltarli mi ha mi ha aiutato. Poi ovviamente ogni storia merita un tipo di narrazione sonora diversa, quindi non bisogna scopiazzare perché non ha senso. Però sicuramente lasciarsi ispirare e ascoltare sì».
4. «Sperimenta e trova il tuo modo di sonorizzare»
Michele Boreggi
«Mi pare che oggi molti podcast siano simili alle trasmissioni radiofoniche di un tempo. Non è una critica, è il bello di questo mondo che è aperto a tante modalità diverse. Io però cerco sempre di lanciare un sassolino più in là. Se la gente ascolta album musicali interi senza bisogno di parole, potrebbe anche ascoltarsi podcast senza bisogno di musica. Oppure potrebbe esserci una sperimentazione dove i silenzi, il sound design, la musica e i paesaggi sonori prendono più spazio. Insomma, ci sono molti modi di sonorizzare un podcast. Bisogna cercare il proprio».
5. «Educa le orecchie all’ascolto»
Luca Micheli (Chora Media)
«Se uno fa vuole fare questo lavoro, deve imparare ad ascoltare, cioè a usare di più l’udito. Esattamente come chi vuol fare lo chef impara a utilizzare il suo gusto. Si tratta di ascoltare tutto, inclusi i rumori per strada, registrare e riascoltare. Ma per tanto tempo! Significa stare 10 minuti ad ascoltare un paesaggio sonoro e capire cosa succede intorno a te, dare un nome ai suoni che ascolti e capire da dove arrivano. Così nel momento in cui poi andrai a ricostruire questo paesaggio avrai delle coordinate migliori. È proprio quel che si chiama educazione all’orecchio. Oggi siamo meno abituati a decifrare i suoni che che sono intorno a noi. Cioè, io esco a Milano e ho un’invasione di suoni nelle orecchie, una botta di suoni e confusione. Siamo tutti un po’ frenetici a Milano, perché abbiamo troppi input sonori. Quando usciamo andiamo un po’ in allarme. Esattamente come l’uomo primitivo andava in allarme se sentiva un cespuglio. Ecco, lì sentiamo mille cespugli. Però se tu ti fermi ad ascoltare quella confusione lì e a decodificarla, allora tutto – per dirla alla John Cage – diventa quasi una composizione».
6. «Fai delle scelte»
Romeo Filippi (Full Color Sound)
«Scegli. Tutto quello che vai a sonorizzare deve essere frutto di una scelta. E metti da parte l’ego, perché sei al servizio della storia. Qui si crea, secondo me, la chiave giusta. Le scelte possono essere di qualsiasi tipo. I puntini, i riferimenti, le scopiazzature o meno sono poco importanti. L’importante è che il tutto sia frutto di una scelta, che non sia lasciato al caso, anche laddove tecnicamente uno non sia eccelso. La scelta è quel quid in più che può essere: faccio sentire l’esplosione prima, la faccio sentire nel mentre, la faccio sentire dopo, la sostituisco col rumore di un gatto eccetera. Perché? Perché l’ho scelto, ma deve funzionare. Vado a pescare nelle sonorità della musica dei film, faccio una sorta di antologia sonora della musica horror attraverso tre storie horror diverse… E sto ricalcando anche un genere, un qualcosa che io sto scegliendo di fare, e pesco da tutti i riferimenti che posso. Il bello dell’audio – che è la forza evocativa in generale dell’audio, della musica, dell’ascolto – è che ti fa essere più vicino a tutto. Tu puoi essere più americano in un certa attitudine, cosa che nel cinema non potresti fare, puoi essere più italiano, puoi essere autoriale, così come puoi essere super commerciale. E tutto questo è permesso dall’audio perché con l’audio arrivi a toccare corde diverse».
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