Non ero mai stata a Palazzo Grassi. Ci sono entrata per la prima volta durante il viaggio stampa per la presentazione di Chronorama. Istantanee dal Novecento, il podcast che Palazzo Grassi stesso ha realizzato con Chora Media come accompagnamento della mostra Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo. È la prima esposizione mondiale della collezione fotografica acquisita dalla Pinault Collection, proveniente dagli archivi di Condé Nast: più di 400 fotografie scattate tra il 1910 e il 1979 (ordinate in un percorso cronologico), che mostrano donne, uomini, momenti storici, scene di vita quotidiana, sogni e drammi del XX secolo.
La bellezza del palazzo mi lascia senza fiato, non solo per la vista incredibile sul Canal Grande ma anche per gli interni. Ed è solo l’inizio della mia meraviglia per questo spettacolare viaggio nel tempo, rivelato anche dal titolo dell’esposizione: chrono, il tempo e –orama, lo spettacolo.
Saliamo al primo piano dove troviamo Clementina Rizzi, responsabile della comunicazione di Palazzo Grassi, Ivan Carozzi, giornalista e autore del podcast, e Sara Poma, responsabile di Chora Studio e curatrice della serie.
«Dopo l’esperienza felicissima dell’anno scorso con Chora e con Ivan (che per Palazzo Grassi hanno scritto e curato il podcast Una specie di tenerezza, di cui Andrea de Cesco aveva parlato qui, ndr), abbiamo scelto anche per questa mostra di fare un podcast», dice Rizzi. «Abbiamo fatto una selezione su oltre 400 fotografie, per descrivere momenti importanti di questo secolo. Se pensiamo che alcune foto non sono neanche mai state pubblicate siamo costretti ad allontanarci dal concetto di Condé Nast, cioè quello di foto fatta “solo” per una rivista, per immergerci nel Novecento. Con il podcast abbiamo voluto dare uno sguardo in audio diverso, mettendoci nei panni di chi viene a visitare la mostra (o di chi ha in programma di farlo) e cercando non solo di fornire degli strumenti ma anche di aumentare i punti di vista. L’impresa è quindi quella di guardare le cose in un altro modo. Mi spiego meglio: una mostra è un punto di vista rispetto a chi la fa, che a sua volta non vuole ridurre il visitatore ad avere solo quella determinata visione. Quindi noi abbiamo aggiunto punti di vista e nel farlo Chora è stato un partner fondamentale, perché è un’impresa di sguardo e di contenuto, che in questo caso si concentra nell’ascolto».
Il podcast diventa quindi un prodotto editoriale fruibile da lontano, in modo autonomo, prima o dopo aver visto la mostra o anche per poterla immaginare. Ed è proprio questo l’effetto che si ha ascoltando la serie (disponibile su tutte le piattaforme d’ascolto gratuite, anche in inglese e francese) e camminando per le sale della mostra. Quella che ascoltiamo è solo una parte della storia: il resto lo dobbiamo mettere noi. Le foto esposte, per esempio, non hanno nella descrizione il nome del giornale in cui sono state pubblicate (se lo sono state perché in alcuni casi le foto, come quella della dottoressa Mary Walker che vedremo dopo, non sono mai state utilizzate per nessuna testata). E questo ha reso ancora più affascinante la mia esperienza, permettendomi di concentrarmi prima sull’immagine e sull’autore, di capirne la storia, per poi provare a immaginare per quale testata fosse stata scattata o in quale contesto fosse stata concepita.
«In generale per me raccontare le immagini è sempre una sfida bellissima», ci spiega Sara Poma. «Il podcast è uno strumento che si basa solo sulla voce, sulle parole. A volte, per chi scrive, descrivere qualcosa che non si vede può spaventare. L’idea è che questo racconto sia immaginato anche per chi sta decidendo di venire a visitare la mostra, per portare l’ascoltatore davanti alla fotografia che stiamo descrivendo. E per fare questo ci siamo fatti aiutare non solo dalla scrittura limpida di Ivan, ma anche dal lavoro di sound design. Penso che questa sia la misura verso cui la potenza dell’audio può tendere».
Ivan Carozzi aggiunge: «Ecfrasis [ἔκϕρασις] è il termine con il quale i greci definivano l’arte di descrivere le immagini con le parole. È un discorso descrittivo che pone l’oggetto sotto gli occhi con efficacia. Nel podcast ho provato a fare proprio questo per chi non ha le fotografie davanti a sé, usando la nuda parola con il sostegno del sound design, che funge da scenografia».
* * *
Come scrivevo, parliamo di fotografie provenienti dagli archivi di Condé Nast. Ma chi era? Condé Montrose Nast, nato a New York nel 1873, è stato un importante editore e uomo d’affari. Dopo una lunga esperienza come responsabile per la pubblicità del settimanale Colors Weekly, acquista la rivista Vogue (che, all’epoca, nonostante avesse già una quindicina d’anni di storia alle spalle era in forte declino). Condé Nast non solo salva la rivista, ma la riprogetta completamente. La trasforma in un settimanale di moda che si rivolgeva all’alta società americana. E lancia due nuove edizioni (una per l’Inghilterra e una per la Francia): la testata diventa un punto di riferimento per l’élite internazionale. Chiunque volesse sapere le ultime tendenze doveva leggere Vogue. E la stessa fortunata sorte tocca poi anche a Vanity Fair e ad House & Garden, le altre due testate settoriali che Condé Nast acquistò nel giro di pochi anni.
Però per realizzare un progetto così ambizioso bisognava cambiare tutto. Serviva innanzitutto un uso più consapevole della fotografia. Le riviste diventano così le palestre in cui si formano alcuni tra i più grandi maestri della fotografia del ‘900, che – seguendo le indicazioni dell’editore, improntate alla sperimentazione e all’innovazione – lavorano ponendosi domande sul corpo, sull’identità e sul significato morale della bellezza.
Le immagini di grandi fotografi come Paul Thompson, Cecil Beaton, Robert Doisneau, Lionel Kazan, Irving Penn, Helmut Newton e Diane Arbus sono solo alcune tra quelle esplorate nel podcast, che si soffermano su vicende e personaggi che hanno segnato il Novecento e ci immergono in un racconto trasversale tra storia, fotografia, costume ed estetica.
Come la prima foto che viene raccontata nel podcast, uno scatto del 1911 di Paul Thompson in cui è ritratta la prima donna che ha indossato abiti maschili: Mary Edwards Walker. Chirurga e attivista per i diritti delle donne, per il diritto di voto e la riforma dell’abbigliamento, Mary Edwards Walker aveva quasi 80 anni. Sì, perché all’epoca nessuna donna aveva la libertà di girare per strada indossando i calzoni. Per questa donna, che a causa del suo gesto è stata anche incarcerata, i vestiti femminili erano scomodi, antigienici e punitivi.
L’altro scatto che mi ha ipnotizzato, sia alla visione sia durante l’ascolto del podcast, è quello di Federico Fellini e di Giulietta Masina fatto da Irving Penn. Fu pubblicato su Vogue nel 1965, cinque anni dopo l’uscita de La dolce vita. Il ritratto, descritto magistralmente nel podcast, dà una visione del regista ferma e decisa, in contrasto con la sua fama di sognatore malinconico. Gli occhi di lui scrutano lo spettatore, mentre Giulietta guarda in alto, da un’altra parte.
Questo podcast e questa mostra, insieme, esplorano il rapporto del tempo e delle immagini, creano una restrospettiva sul potere della fotografia e dell’audio. Sono dei tesori che rappresentano la nostra storia passata e quella futura.
Leave a Reply