Per la seconda puntata della nuova stagione di “The Spreaker Dispatch” abbiamo chiesto a Giovanni Berbellini, podcaster di Spreaker Prime con Fammi Capire!, di raccontarci come è nato il suo podcast. Berbellini, che vive a Milano ma è nato a Fermo (nelle Marche), ha studiato Design della Comunicazione al Politecnico di Milano e poi Cinema, Televisione e New Media alla IULM. Si è occupato di social media management nel mondo dell’intrattenimento, prima in ambito televisivo poi in quello musicale. Nel gennaio 2021 ha lanciato Fammi Capire!, frutto di un’innata curiosità e di una passione per le domande “semplici”, quelle che troppo spesso abbiamo paura di fare ma che ci aiutano a capire il mondo.
Cosa significa la parola “podcast” per te? Come e quando hai deciso di fare un podcast?
«Il podcast è stato per me una piacevolissima scoperta. Ho iniziato durante la pandemia, e in quel periodo stavo portando avanti il mio blog: era un mero esercizio di scrittura per coltivare una buona penna. Un giorno, un amico mi ha detto che scrivevo molto bene. Poi ha aggiunto “hai anche una bella voce. Dovresti provare a fare un podcast”. Non è servito aggiungere altro».
Cosa pensi di Spreaker e del programma Prime?
«Spreaker mi ha davvero aiutato a gestire tutti quegli aspetti di cui non sapevo praticamente niente. Non avevo mai distribuito prima un podcast, eppure è stato molto semplice. Il tempo che è intercorso tra il mio episodio “chiuso” e la distribuzione sulle piattaforme è stato brevissimo. Spreaker Prime mi fa sentire parte di una grande community, si percepisce un grande entusiasmo di idee e creatività!».
Quale era il tuo obiettivo quando hai iniziato?
«Quando ho iniziato non avevo un vero e proprio obiettivo se non quello di imparare a sfruttare lo strumento. La vedevo più come una sfida personale. Ho fatto foto, montato video, scritto articoli, creato siti, impaginato grafiche e libri, ma non avevo mai fatto un podcast. Credo fortemente nel fatto che solo l’esperienza ti porti a scontrarti contro i “paletti” e i problemi imposti da un formato, qualunque esso sia. Quindi per capire al meglio il mezzo, potevo solo iniziare a fare podcast».
Che evoluzione c’è stata per te? Hai già pensato ad un nuovo progetto?
«È stata una crescita davvero importante: iniziato per hobby, durante il terribile inverno 2021, obbligati in casa dalla pandemia. Mi ascoltava qualche amico e i miei fratelli (che per fortuna sono tanti!). Oggi, fa un certo effetto vedere che mi ascoltano e seguono tante persone. Sicuramente la mia curiosità non si ferma mai, che è un po’ il mio mantra, quindi ogni giorno mi vengono in mente nuovi temi da trattare: lavori, hobby, figure professionali da approfondire. Mi piacerebbe anche lavorare su un nuovo podcast, magari narrativo. Lontano dalle interviste classiche».
Come ti immagini che sia il tuo ascoltatore?
«Penso che per immedesimarsi in me, Giovanni-che-fa-domande, occorra umiltà: nel mio podcast Fammi Capire! faccio domande apparentemente stupide, quelle che hai quasi paura di fare, perché te ne vergogni. Serve umiltà per ammettere “questa cosa non l’ho mai capita”. Insomma: se vi vergognate di fare certe domande, non preoccupatevi: ci penso io a farle per voi!».
La cosa più strana o curiosa che ti è capitata relativamente al tuo podcast?
«Per realizzare la puntata Caratteri mobili ho intervistato Elettra di Slab.Letterpress, laboratorio di grafica e stampa. Ci siamo conosciuti alle scuole medie, poi persi di vista e rincontrati per il mio podcast. Chiacchieriamo un paio d’ore, serenamente, e registriamo. Io monto l’episodio e lo trovo uno dei più brillanti e dalla voce di Elettra si percepisce l’entusiasmo per il suo lavoro. Qualche giorno dopo la pubblicazione, Elettra mi scrive per ringraziarmi, perchè fino a quel momento non si era mai sentita così capace di raccontare la sua passione. Il podcast è stato il modo per scoprire un nuovo lato di sè. Una terapia. Ed è stato emozionante anche per me».
Quali sono i podcast che ascolti?
«Amo i podcast narrativi, ben scritti, pregni di contenuto, in cui ogni parola è pensata per come risuona sulla bocca, sulla lingua e nell’interezza della frase. Un podcast deve differenziarsi da una semplice chiacchierata in radio. Per questo per ogni episodio di Fammi Capire! scrivo anche 10mila battute. Ca va sans dire nel mio cuore ci sono Indagini, Il dito di Dio, Tg Luna e Morning, una piacevole routine».
Qual è il podcast che avresti voluto fare tu?
«Veleno, senza ombra di dubbio. Piansi ascoltandolo una mattina mentre andavo al lavoro. Ero sulla linea 90, che è uno dei luoghi più inospitali della Terra. Amore a prima vista. Mai avrei immaginato che un qualcosa ‘solo audio’ potesse farmi provare quelle emozioni. Si chiamava “podcast”».
Che consigli o suggerimenti daresti ad una persona che vuole avviare un suo podcast?
«Suggerirei di provare, ovviamente, perché l’esperienza conduce in luoghi inesplorati e bellissimi. Ma nel frattempo suggerirei di non trascurare mai il contenuto. Qualunque sia la durata del proprio episodio, non può prescindere da un contenuto, da una scrittura che sviscera un tema, lo snocciola, guardandolo da più punti di vista. I podcast di una manciata di minuti che viaggiano sul pelo dell’acqua senza mai scendere in profondità sono chiacchiere al bar. E se devo ascoltare delle chiacchiere scelgo il più simpatico dei miei amici, non certo un podcast».
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