I suoni degli ambienti ricostruiscono luoghi e atmosfere. Le testimonianze dei protagonisti accendono i fari su storie laterali, spesso dimenticate dai ritmi frenetici della cronaca. In questi elementi risiede la potenza dell’audio documentario, un format che sta vivendo una nuova vita grazie alla tecnologia del podcast (con cui, però, non va confuso) ma che, dagli inizi degli anni Duemila, è praticamente scomparso dalla programmazione radiofonica. Quantomeno in Italia, terra – a partire dal dopoguerra – di documentaristi sonori d’eccellenza. Dal capolavoro di Sergio Zavoli, Clausura, uscito nel 1956/57 e vincitore del Prix Italia nel 1958, fino alla formidabile redazione radiocronache” – che comprendeva, tra gli altri, Sergio Zavoli, Aldo Salvo, Luca di Schiena con la scrittura di Guido Piovene – che si avventurarono, microfono alla mano, per tutta l’Italia anticipando il racconto del Paese di Pasolini.
Gli audiodocumentari non sono di certo scomparsi. Anzi, continuano a essere presenti in kermesse dedicate alle narrazioni audio. Come l’italiano Prix che, anche nell’edizione appena trascorsa, ha visto in cartellone opere del genere come Babys für die Welt – Das Geschäft mit ukrainischen Leihmüttern” (Bambini per il mondo – Il business delle madri surrogate ucraine) che esplora il tema della gestazione per altri. Nel 2018 a trionfare, sia nel Prix italiano sia nella versione europea, nella categoria “documentary and reportage” è stato Il Sottosopra di Gianluca Stazi e Giuseppe Casu, una profonda immersione sonora nelle ex miniere del Sulcis, in Sardegna.
Il doc è stato prodotto da Tre Soldi, l’isola felice dei documentari, format che va in onda ogni giorno su Rai Radio 3, con la curatela di Fabiana Carobolante, Daria Corrias e Giulia Nucci. Un appuntamento quotidiano con frammenti di realtà che entrano nelle orecchie lasciando ampio spazio all’immaginazione. Racconta Daria Corrias a QdO: «Tre Soldi nasce nel 2009-2010 per volontà dell’allora direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi. La sua idea era quella di riportare in radio il linguaggio del radio documentario, scomparso da un bel po’ di tempo. L’ultimo programma ad avere un linguaggio molto vicino fu Cento lire, che andò in onda fino al 2002. Quindi erano quasi dieci anni che la radio pubblica non produceva né trasmetteva radio documentari. Pur avendo un passato glorioso, fatto di grandi produzioni e autori di razza (Zavoli, Costa, Di Schiena, Salvo, Camilleri i primi che mi vengono in mente…)».
«Prima di Tre Soldi – continua Corrias – avevamo cominciato a produrre programmi che in qualche caso incrociavano il genere, ma qualcosa di stabile e ricorrente non c’era. Sinibaldi (ex direttore di Rai Radio 3, ndr) volle volle chiamare Tre Soldi così citando l’opera omonima di Brecht i cui personaggi sono diseredati e gente ai margini della società, per dire che il programma avrebbe dovuto dare la voce a chi non l’aveva o la aveva di meno. Cercavamo e cerchiamo anche oggi il racconto dal basso, la testimonianza diretta, il suono d’ambiente. E l’idea di articolare una storia in cinque episodi fu dirimente: era ed è necessaria per garantire la presenza di quel linguaggio, quotidianamente, all’interno di un flusso radiofonico ben diverso, fatto di musica, talk show e altri programmi radiofonici con caratteristiche diverse. Serviva e serve a portare la radio fuori dalla radio intesa come palazzo, studio radiofonico chiuso».
E, infatti, la caratteristica principale degli audiodocumentari è la centralità data agli spazi, agli ambienti, alle persone. Lo studio viene messo da parte. La conduzione dell’host, come siamo abituati ad ascoltare nella maggior parte dei podcast di successo, è quasi assente. È uno degli aspetti che differenzia gli audio documentari dalle serie audio. Jonathan Zenti, ora noto per il suo podcast Problemi (da cui è tratto anche il libro Problemi. Una guida per capire l’assurdità del presente, Blackie 2022), è l’audio documentarista di punta del panorama italiano. I suoi lavori e la sua conoscenza del settore sono apprezzati sul piano internazionale. Così Zenti spiega le differenze tra i doc e i podcast: «Li distingue essere due cose molto diverse che agiscono su piani completamente differenti: il podcast è una tecnologia per la diffusione di contenuti audio on demand, mentre un audio documentario è una delle tante forme possibili che si possono distribuire attraverso il podcasting. È come chiedersi cosa distingue Spotify dalla trap: la trap è un genere di musica che viene distribuito attraverso Spotify. Dal punto di vista creativo la cosa interessante è che il podcasting ha allentato i confini tra i generi, per cui un audio documentario ora può mischiarsi molto con la fiction o con il chatshow di studio. L’industria dei podcast tende a sacrificare gli audio documentari perché li ritiene più “costosi”, sottovalutando il valore che creano nel tempo. Ma non è una novità, anche la radio – in primis la radio pubblica – ha fatto così in passato, e ora se ne mangia le mani. È comunque un problema dell’industria che decide di danneggiarsi da sola. Autori di documentari e pubblico hanno sempre fatto e ascoltato documentari e continueranno sempre a farlo. Fintanto che la realtà esiste, esisteranno motivi per fare documentari e voglia di ascoltarli».
E per fortuna, potremmo dire. Perché altrimenti ci perderemmo alcune perle come 2020: Fuga da Milano, il prezioso racconto dello scoppio della pandemia, curato da Zenti per Tre Soldi, oppure, sempre edita dallo stesso programma, la curiosa e accattivante narrazione dell’arrivo del telefono in Italia che si ascolta in C’era una volta il telefono di Anna Raimondo oppure, per fare un altro esempio, il doc sui canners di New York – coloro che raccolgono bottiglie in cambio del reso in soldi – firmato da Francesca Berardi, dal titolo New York Orizzontale.
L’universo di Tre Soldi è ampio e variegato, come spiega Daria Corrias: «Alla trasmissione lavorano tre persone: io e Fabiana Carobolante, insieme sin dalla nascita del programma, e da qualche anno Giulia Nucci. In passato sono passati di qui anche Lorenzo Pavolini (già curatore di Cento Lire), Ornella Bellucci (regista e autrice di grande valore che ha contribuito a vivificare il genere con i suoi reportage) ed Elisabetta Parisi (che cura tantissimi programmi per Radio 3). Abbiamo vari modi per selezionare i documentari. Uno è la commissione: individuiamo una storia o un tema, pensiamo all’autore o autrice che ci sembra più adeguato e gli/le chiediamo di realizzarlo. Riceviamo un numero altissimo di proposte (decisamente aumentato dopo l’esplosione del podcast) e selezioniamo i progetti in base alla rilevanza e alla necessità (siamo servizio pubblico e questo lo teniamo sempre a mente nel cercare di produrre e lavorare su contenuti che siano di importanza per la comunità). A volte produciamo noi stesse i documentari in base a un interesse, un’occasione, una ricorrenza».
Le proposte, spiega Corrias, arrivano in due forme: «A volte riceviamo proposte scritte. Parliamo con l’autrice/autore e poi valutiamo la rilevanza del contenuto, le intenzioni di regia e la scrittura. Altre volte riceviamo prodotti pronti e se ci piacciono valutiamo se rispondono alle esigenze del format e ai requisiti di qualità, originalità e, come sempre, rilevanza e interesse del contenuto. Abbiamo una modalità collegiale di valutare le proposte: ne parliamo insieme, insieme le valutiamo e poi una delle tre segue il progetto dall’inizio alla fine. Generalmente facciamo anche un ascolto collettivo del lavoro finito prima della messa in onda».
Anche Jonathan Zenti, come già detto, è uno degli autori di Tre Soldi. La sua esperienza nel mondo dei doc sonori nasce nel lontano 2008: «Il mio primo documentario, Gelato con tre bale, è del giugno 2008, ma io ho iniziato a interessarmi e a studiare il genere a partire dal 2006, dopo aver finito il mio apprendistato come assistente alla regia di un programma radiofonico di fiction. Avevo passato tre anni chiuso in studio a creare mondi inventati partendo dal silenzio come pagina bianca e avevo bisogno di creare stando per strada, in mezzo alle cose che esistono già. Nel 2006, con un minidisc comprato usato, ho iniziato a registrare cose, ma non riuscivo ad assemblarle. Così ho iniziato a studiare quello che avevano fatto gli altri. Ad un certo punto avevo ascoltato, più o meno nello stesso periodo, Clausura di Sergio Zavoli, trovato in vinile in un mercatino dell’usato, e My Father Takes a Vacation di Martin Johnson, disponibile con sottotitoli in inglese sul sito della radio pubblica svedese. Avevo capito che io volevo fare qualcosa che mettesse insieme quei due stili molto diversi. Ho iniziato a fare esperimenti di assemblaggi narrativi, fino a quando una vicenda familiare mi ha dato l’occasione di registrare quello che accadeva e di provare a mettere insieme quelle registrazioni in un racconto».
Zenti, nonostante lavori nel mondo del podcast, continua a mantenersi attivo nel mondo dei documentari, un genere poco battuto dalle radio italiane. Sui motivi di questa assenza, Jonathan e Daria Corrias concordano: «Il radio documentario, insieme al radiodramma, è il genere radiofonico più costoso che c’è: necessita di uno sforzo produttivo significativo che non sempre si è disposti a intraprendere. E credo sia stata anche una delle ragioni perché poi è scomparso dai palinsesti della radio pubblica. Ma quando un prodotto del genere scompare dalle offerte succedono due cose a mio parere gravi: si desertifica il mondo autoriale e di ascolto. Tre Soldi è arrivato quando, come dicevo prima, il genere era scomparso da quasi dieci anni. Quando abbiamo iniziato gli autori e le autrici erano pochissimi/e. La presenza di Tre Soldi è stata anche l’occasione perché quella siccità autoriale venisse un po’ colmata. In quasi 12 anni di programmazione abbiamo visto nascere nuovi e bravissimi autori. Adesso il panorama autoriale è diverso, il podcast ha offerto nuovi spazi e possibilità, anche gli ascoltatori sono cresciuti riscoprendo e a volte scoprendo per la prima volta un modello narrativo sonoro che secondo me – ma sono di parte – è capace di esaltare al massimo la potenza del linguaggio radiofonico o audio, se parliamo di podcast».
Aggiunge Zenti: «In Europa è più facile dire dove l’audio documentario non è diffuso, ovvero Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In tutti gli altri, compreso paesi baltici ed Est Europa, è diffuso e finanziato, anche se in diverso modo e con diverse limitazioni. Stati Uniti e Canada sono riusciti a gestire il passaggio dalla radio al podcast con maggior disinvoltura e innovazione, mentre in Europa, anche in Nord Europa, l’arretratezza, lo snobismo e il conservatorismo delle radio pubbliche – tutte incluse, anche la blasonata BBC – e la loro insensata fobia degli autori indipendenti hanno fatto sì che ad oggi, a quattro anni dalla nascita dell’industria dei podcast, ancora non riescano a produrre niente di innovativo o competitivo tale da guidare il settore privato. Per questo il fatto che in Nord Europa l’audio documentario sia più diffuso e finanziato rispetto all’Italia non vuol dire per forza che sia “migliore”. Proprio perché le condizioni sono ostili, nei Paesi in cui è meno diffuso spesso gli autori indipendenti riescono a tirare fuori idee inaspettate e innovative. Ci sono podcast autoprodotti in totale povertà in Italia o in Spagna che hanno molta più vitalità delle ricche produzioni britanniche».
Eppure, con la tecnologia del podcast l’audiodoc ha cominciato ad attrarre le attenzioni di giovani producer. Come Marco Rip, autore per LifeGate e Rockit di Venticinque, descritto come un viaggio nel tempo – dal 1997 al 2022 – e lungo tutta l’Italia per incontrare gli uomini e le donne che hanno rivoluzionato la musica nel nostro Paese. Passando dai centri sociali a Sanremo, dai club di provincia alla vetta delle chart: per capire chi eravamo e dove stiamo andando a finire. «Il podcast è composto da 25 puntate di mezz’ora circa, ognuna incentrata su uno specifico artista – racconta Marco a QdO – e con il pretesto di raccontare uno specifico anno che è stato chiave nella sua carriera. Per questo motivo incontriamo gli artisti nei loro luoghi, a casa, nel loro studio o nel primo locale dove si sono esibiti, fino al bar dove hanno lavorato prima di diventare musicisti. E lasciamo raccontare tutto a loro. Nel senso che le nostre domande spariscono e noi diventiamo invisibili. Le nostre voci non ci sono praticamente mai e questo secondo me aiuta a far sì che il racconto sia molto intimo. E ciò a prescindere dal talento narrativo che, come si può sentire in alcune puntate, molti di questi artisti e artiste hanno (faccio alcuni nomi: Carmen Consoli, Cosmo Levante, Vasco Brondi, Offlaga Disco Pax, Massimo Pericolo, La Rappresentante di Lista, Verdena, Tre Allegri Ragazzi Morti…)».
Marco non nasce audiodocumentarista, ma un incontro particolare lo ha portato a firmare Oltre Ogni Aspettativa, sempre per Tre Soldi: «Nonostante io abbia sempre lavorato con i suoni, sia come musicista sia come sound designer, non avevo mai preso in considerazione l’idea di cimentarmi con i podcast, men che meno con gli audio documentari. Tutto ha avuto origine da un incontro imprevisto e incredibile con Daria Corrias, che non smetterò mai di ringraziare e ringrazio anche adesso. Lei quando mi ha conosciuto – era l’estate del 2020 – ha capito un po’ chi fossi e che cosa sapessi fare. E mi ha detto invitato a produrre un documentario. Poi vabbé, in quel momento mi trovavo fra le mani una storia molto personale, credo potente, da raccontare e quindi ho provato a farlo ed è andata bene. E poi, con i successivi audio documentari che ho prodotto, mi sono reso conto che potevo far convergere le cose che più mi piacciono, cioè campionare i suoni, raccogliere storie e giocare fra rumori e voci per creare poi una narrazione inedita».
Giacomo Locci, autore tra gli altri di Dopo, un audio documentario sull’esperienza del servizio civile, e 3 Giorni | La storia di Emanuele Scieri (entrambi prodotti con il collettivo Cumbre), usa espressioni quasi romantiche per descrivere il genere: «Ci sono due termini che collego ad audio documentario e che per me rappresentano i due lati dell’opera, quello di chi realizza e quello di chi ascolta. Il primo è raccogliere, che è quello che cerco di fare quando mi approccio ad una storia. Non raccontare, non narrare, ma raccogliere. Raccogliere i suoni, i rumori, le voci, i ricordi, i pensieri e le emozioni facendo un pezzo di strada insieme alle persone e nei luoghi. Il secondo termine è viaggio. Uno di quei viaggi in pullman con varie fermate o uno di quei viaggi che si fanno da bambini quando uno dei genitori guida e si è seduti sul sedile posteriore. Un viaggio dove il tempo quasi non conta, dove le cose succedono fuori ma anche dentro di te. Un viaggio che ha un equilibrio sottile ma ben definito e in cui, anche se non conosco i posti che vedo, mi sento sicuro».
Leave a Reply