Una parte che spesso dimentico di raccontare è quella dove sognavo di diventare una rockstar. Suonavo in questa band indie/alternative fra i locali della mia città.
Lo so, dire indie/alternative fa molto 2012 vero? La mia band infatti nasce proprio l’anno delle band “alternative/indie”.
L’ho già detto che sono di Parma? Non chiedetemi se conosco Bello Figo. A dire la verità, ora che ci penso, avevamo aperto una sua serata a un carnival party del 2013.
Ci chiamavamo Wet Blankets. Una band composta da un italo-nigeriano, un cileno, un montanaro e un normale parmense. Un mix che doveva portarci a diventare i prossimi Blur italiani, finché non ci siamo sciolti nel 2016.
Quello che sembrava la fine di un sogno si è rivelato uno dei momenti chiave della mia vita. Il primo maggio 2016 mi sono ritrovato ricoverato in ospedale per un intervento importante. Un tumore maligno alla caviglia che alla fine si è rivelato un “semplice” tumore benigno. Non immaginate il sollievo, ma quella è una storia per un’altra occasione.
Quel primo maggio, solo in ospedale, ho avuto l’opportunità di rivalutare la mia vita, il fallimento della mia band, il fallimento della mia pseudo-carriera universitaria (studiavo scienze politiche) e il fallimento della mia vita in generale.
Un mese dopo, preso dal podcast di Joe Rogan, ho cominciato a registrare con il mio vecchio LG L9 la prima versione di OMJ Podcast. Parlavo di MMA (mixed martial arts) perché era l’unica cosa che riuscivo a commentare senza bloccarmi ogni due secondi. Avevo bisogno di cominciare da qualche parte, insomma.
Ho intervistato diversi lottatori, anche il nostro Marvin Vettori. Pubblicavo l’audio con un fermoimmagine su YouTube. Anche quel podcast si chiamava OMJ Podcast ma non menzionavo il mio nome o le mie origini per paura di non essere preso sul serio.
Lo ammetto, ero un pochino insicuro. I podcast non li producevano neanche i bianchi nel 2016, «figuriamoci se si prendono il tempo di ascoltare la voce di un nero», pensavo.
Ho fatto quasi tre anni di test, fra podcast in inglese, ospiti dalla Nigeria, podcast a forma di sketch e tanto altro. Finché nel marzo 2019 non ho finalmente deciso di cominciare a raccontare un mondo nuovo, il vissuto della persona nera in Italia, e di farlo come avevo sempre voluto. Senza troppi filtri, con tante pause e riflessioni, tante battute divertenti e meno divertenti.
E così è nato OMJ come lo conoscete oggi. All’inizio era soltanto su YouTube, perché la versione solo audio mi sembrava troppo piatta. Sono sbarcato sulle varie piattaforme di podcast a partire dal settimo episodio.
La prima cosa a spiazzarmi è stata l’immensità di tempo e workload necessari per la realizzazione di ogni episodio. Spendevo dieci ore alla settimana per una puntata che sarebbe stata ascoltata da una ventina di ascoltatori.
Superare quell’ostacolo – dover investire così tanto tempo su un progetto creativo che ancora non aveva una collocazione o un genere – è stata la prima vera sfida. Era tutto da costruire: il linguaggio, la community, le storie, la narrazione. Dovevo creare un mondo nuovo, appunto, e far sì che qualcuno ci si potesse trovare bene.
La principale soddisfazione è vedere questo mondo costruirsi settimana in settimana. E poi vedere altri mondi paralleli al mio nascere proprio a partire dal mio, andando a ridefinire e ampliare il significato di “italiano”.
Oggi, a 140 puntate, dedico a ogni episodio dalle 25 alle 30 ore settimanali. E posso contare sull’aiuto di amici professionisti nel campo di audio/video/creativo, come Marco Casaluce, Marco Caino Marinelli, Eddie Sears, Michele Diemmi e tanti altri. Sono tutti amici conosciuti nel mondo della musica di Parma.
Ho aperto troppe parentesi inutili in questo spezzone della mia vita da podcaster. È una brutta abitudine del podcaster effettivamente. Quello che non è fra le parentesi ve lo racconto su OMJ Podcast (che è comunque pieno di parentesi).
Passo e chiudo, ciao!
Leave a Reply