La scommessa dei podcast nell’era della distrazione

Che cosa guardi, mentre guardi la tv?

Da anni il multiscreen viewing (o causal viewing, o multitasking viewing, o distracted viewing) è diventato la norma. Consiste nel guardare una serie tv o un film mentre si scrolla il feed di Instagram o si chatta con qualcuno.

Lo facciamo tutti o quasi, sempre di più.
Secondo uno studio di YouGov del 2023, negli Stati Uniti 9 persone su 10 mentre guardano programmi TV & Co. smanettano con il telefono.

Produttori e piattaforme ne sono consapevoli. Non a caso Netflix da qualche tempo investe proprio in contenuti che assecondano questa tendenza.
Pare addirittura che gli sceneggiatori ricevano indicazioni per rendere i dialoghi più esplicativi, in modo che gli spettatori possano seguire la trama anche senza guardare costantemente lo schermo.
I copioni devono tenere conto del fatto che probabilmente chi guarderà il film o la serie avrà in mano un secondo schermo.

Il risultato è la “TV ambientale”, espressione coniata dal New Yorker nel 2020 per descrivere prodotti come Emily in Paris, che non richiedono particolare concentrazione.

Nell’era dell’attenzione frammentata, sembra che il massimo a cui molti creatori di contenuti aspirano è catturare l’attenzione degli utenti almeno per qualche minuto (o secondo). Oppure riuscire a diventare un contenuto da compagnia su cui ogni tanto si posa lo sguardo.

È lo stesso modo in cui sempre più persone, soprattutto quei giovani uomini preda della solitudine, consumano i videopodcast: come confortevoli chiacchiericci di sottofondo su cui buttare l’occhio di quando in quando.

(Ricordo peraltro che, come i podcast, anche molte radio a un certo punto hanno iniziato a dotarsi di una componente visiva. É successo tra gli anni ‘90 e gli anni 2000, con la trasmissione simultanea di programmi radiofonici attraverso canali televisivi. É la cosiddetta radiovisione, che permette appunto agli spettatori di vedere gli speaker radiofonici mentre conducono il programma. In Italia tra i primi esempi importanti ci sono stati quelli di Radio 105 e di RTL 102.5).

Il video sempre più è consumato – anche – in situazioni prima dominate dall’audio.

Se un tempo podcast e radio erano visti come intrattenimento per le orecchie quando gli occhi sono occupati, ora infatti molte persone “guardano” video anche mentre hanno gli occhi occupati.

E la tipologia di video che va per la maggiore è rappresentata proprio dai videopodcast. Tanto che Netflix non solo ha iniziato a puntare sempre di più su contenuti adatti a un consumo distratto, ma si sta anche muovendo per entrare nel mercato dei videopodcast, e in particolare di quei videopodcast che consistono in lunghe chiacchierate tra personaggi più o meno noti davanti a una telecamera.

E così oggi ci ritroviamo con una scelta infinita di contenuti tutti uguali, sia rispetto a come suonano sia dal punto di vista estetico. «Solo che quando tutto inizia ad avere lo stesso aspetto e lo stesso suono le persone si spengono o cercano delle alternative», ha scritto l’esperto di media Nick Hilton. «È un fenomeno ciclico e raggiungeremo un punto di saturazione».

Se questa tendenza finora aveva riguardato soprattutto YouTube, ora sta arrivando anche in televisione. «A quel punto non sarà più semplice dire “i podcast stanno diventando programmi televisivi” o “la TV sta diventando più simile ai podcast”. A quel punto, l’intera base di queste distinzioni viene erosa».

In questa omogenizzazione generale, con il pigro chiacchiericcio che regna sempre di più sia sulle piattaforme di video streaming sia in radio e in tv, a distinguere i podcast audio è (o almeno dovrebbe essere) una missione tanto difficile quanto coraggiosa: la missione di catturare l’attenzione degli ascoltatori, pur nella consapevolezza che gli ascoltatori spesso mentre ascoltano fanno altro. E la sfida ovviamente non è solo catturare l’attenzione, ma anche mantenerla per periodi di tempo più o meno lunghi.

Il tempo che gli utenti dedicano ogni giorno all’ascolto di podcast (dal Digital Audio Survey 2024 di Ipsos)

I podcast nativi solo audio sono oggi rimasti tra i pochi media che non si accontentano di brandelli o frammenti di attenzione, ma che chiedono agli utenti un importante sforzo di concentrazione. E la concentrazione si ottiene quando dietro al podcast c’è un lavoro sapiente di ideazione, progettazione, scrittura, narrazione, sonorizzazione, montaggio che tiene lontano distrazione e confusione.

Non è una sfida da poco, considerando che ormai in media riusciamo a mantenere l’attenzione solo per pochi minuti. Eppure diversi studi dicono che i podcast hanno per lo più un tasso di mantenimento piuttosto alto.

La percentuale di utenti che ascolta gli episodi podcast per intero e quella di chi interrompe prima della fine (dal Digital Audio Survey 2024 di Ipsos)

Non solo. I podcast e i loro contenuti in genere risultano anche particolarmente memorabili.

La percentuale di ascoltatori che ricorda di avere ascoltato messaggi pubblicitari abbinati al podcast (dal Digital Audio Survey 2024 di Ipsos)

E in un’epoca dove distrazione e disattenzione sono date per scontate queste sono caratteristiche quanto mai preziose.

📚 FontiFast Companyn+1New YorkerGuardianEsquireFuture ProofMatt on AudioGuardare la radio di S. di Biasio (Mimesis Edizioni), Ipsos

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