Gli elementi sono simili: ci sono testi, intermezzi audio, testimonianze e letture. Eppure tra i podcast che hanno riportato in vita le narrazioni audio e i programmi radiofonici di storytelling (parola odiata da tutti ma sempre usata) ci sono alcune differenze. Come anche elementi in comune.
La radio “di contenuto” nel panorama internazionale
La radiofonia tradizionale prima dell’esplosione del podcasting aveva sempre riservato uno spazio, più o meno ampio a seconda dei Paesi di trasmissione, ai format di contenuto. Dove, oltre a documentari e inchieste giornalistiche, ci sono racconti, storie, narrazioni di fiction e non-fiction.
Basti pensare che Serial, il padre di tutti i podcast, è nato come spin-off della trasmissione This American Life, condotta da Ira Glass e in onda dal 1995 su Webz e su altri circuiti legati all’emittente di Chicago. Il programma non contiene solo inchieste e reportage in audio, ma anche approfondimenti ed estratti di sceneggiati fiction: insomma, storie. Di esempi che arrivano dagli Stati Uniti ce ne sono tanti. Come Radio Diaries, nato nel 1996: il format, trasmesso anche all’interno di This American Life e nel programma All Things Considered della Npr, dà spazio ai racconti personali di persone che dalla quotidianità traggono esperienze extra-ordinarie. Tutto questo prima ancora della nascita del podcasting come tecnologia e come medium.
Superando l’Oceano, in UK il regno della BBC offre spunti di radio narrativa di primissima qualità: sul quarto canale si trova, trasmesso in diretta e poi disponibile on-demand, Short Story: corti radiofonici, racconti scritti da autori (conosciuti o meno) e letti da attori. Piccoli audiolibri per la radio, in sostanza.
Matteo Caccia e le sue storie alla radio
Anche in Italia storiche esperienze di radio narrativa, in anticipo rispetto ai podcast, non sono mancate. Tralasciando le feature e i radiodrammi di maggiore successo negli anni del Dopoguerra, il nome tutelare è quello di Matteo Caccia. Il suo Amnesia, sceneggiato a puntate andato in onda nel 2009 su Rai Radio Due in cui l’autore e conduttore immaginava un diario dopo la sua fantomatica perdita di memoria, sarebbe oggi un podcast di successo.
Caccia, però, non ha mai smesso di raccontare alla radio, oltre che nei podcast. La sua voce è diventata protagonista poi di Pascal, con le storie inviate dagli ascoltatori e raccontate a voce – con i tempi e un’interpretazione quasi teatrale (di sicuro affascinante) – da Caccia. Che ora conduce su Radio 24 Matteo Caccia Racconta: Storie di rinascita, dove le storie degli ascoltatori incontrano narrazioni pescate dal web, dai giornali, dai podcast, intramezzate da una selezione musicale in piena linea con i contenuti delle vicende narrate. Se qualcuno ascoltasse il programma in diretta su Radio 24, penserebbe di essere a contatto sonoro con un podcast. Perché le affinità sono tante: c’è uno script, ci sono suoni funzionali al racconto, non manca l’arco narrativo. E non è l’unico programma radiofonico dallo stesso taglio.
Il caso di Radio 24
Radio 24 è arrivata in anticipo nell’esplosione dei racconti sonori. Me lo ha ribadito, in un incontro negli studi dell’emittente a Milano, anche Alessandra Scaglioni, caporedattrice centrale dell’emittente: «Prima dell’esplosione dei podcast, chi realizzava prodotti narrativi o reportage, come Giampaolo Musumeci (ora conduce Nessun Luogo è Lontano, ndr), si rivolgeva o a noi o alla Radio Svizzera. C’erano bravissimi autori e anche registi radiofonici che cercavano spazio. Penso a Gaetano Cappa che con il radiodramma Pollycino vinse il Prix Italia nel 2011: si trattava di una specie di favola ma legata alla politica, una vera e propria fiction».
Radio 24 ha così mantenuto una coerenza strategica che l’ha premiata. Aggiunge Scaglioni: «Con l’esplosione dell’audio digitale è aumentata la disponibilità di tempo da parte dell’ascoltatore. Noi, grazie ai podcast, ne abbiamo guadagnati su certe fasce e ora sommiamo ai seguaci della radio quelli dei podcast originali».
E per molti format di Radio 24, nati e pensati per la radiofonia, il passaggio all’on-demand, quindi al podcast, è un approccio naturale. «Sappiamo – spiega Alessandra Scaglioni – che molte nostre produzioni, che nascono in diretta, sono ancora più forti nella posizione on-demand. Un esempio eloquente è il programma di Gianluca Nicoletti». Il giornalista, conduttore e autore radiotelevisivo, conduce Il Treno Va, una chicca di storytelling audio. Un programma, scritto assieme a Fabrizio Intonti, che muove da una domanda: chi è il passeggero che abbiamo di fronte a noi quando siamo in treno? Nicoletti, passa da un vagone all’altro con il suo tablet sempre acceso e interloquisce con altri viaggiatori, alcuni reali, altri frutto della sua fantasia. Il meccanismo del programma prevede che il conduttore sia perennemente in viaggio in un treno diretto verso un’ipotetica, immaginaria, irreale donna che lo aspetta. Non necessariamente è un’amante, moglie o fidanzata. La cura per la scrittura delle storie è precisa e avvolgente, così come il sound design. Le parole del conduttore alternate a quelle dell’ospite in telefonata lasciano spazio, a intervalli regolati nell’oretta di durata del programma, a brani musicali.
Ecco una delle differenze tra lo storytelling radiofonico e quello per i podcast. La radio ha dalla sua la musica, che nei podcast – se c’è – ha “solo” un ruolo di sottofondo. Per una questione di diritti la musica edita nei podcast in molti casi non può infatti essere utilizzata (qui trovi un approfondimento sul tema). Quando i programmi radiofonici vengono pubblicati in formato podcast si ascolta un riadattamento che lascia centralità alla storia, come si è abituati appunto per il podcast.
Con Alessandra Scaglioni torniamo sul format di Matteo Caccia per tracciare un altro percorso di integrazione tra radio e podcasting narrativi: «Nell’ultimo blocco di Matteo Caccia Racconta trasmettiamo la riduzione, in dieci minuti, di un podcast indipendente pescato dalla rete, selezionato tra i podcast prodotti dal nostro gruppo editoriale o tra i podcast indipendenti che ci hanno particolarmente colpito. C’è una persona che lavora ad hoc nella trasformazione del podcast in un blocco per la radio. È banale dirlo ma, anche nei format narrativi, la radio ha le sue peculiarità: bisogna rispettare dei tempi, c’è bisogno di momenti di rottura… Sembrano sciocchezze, ma hanno il loro peso. Chi sta raccontando alla radio deve tenere conto che ci sono ascoltatori collegati in simultanea. E poi un podcast nasce con una scansione di puntate definita; mentre un programma radio, nella logica del palinsesto, da noi dura sei mesi».
«E in questo lavoro emergono alcune peculiarità che riguardano la struttura», continua Scaglioni. «Il programma in onda ha tempi precisi da rispettare, scansioni date dagli appuntamenti fissi che possono interrompere il racconto, e ciò deve succedere nel modo e nel momento giusti. Sicuramente se dobbiamo definire una differenza importante tra la radio e il podcast sta nello spazio da occupare: in radio è uno spazio predefinito, a cui il contenuto si deve adattare, nel podcast lo spazio disponibile è libero».
La funzione della radio, oggi
Se le narrazioni audio sono ormai appannaggio dei podcast, mi viene da chiedere ad Alessandra quale sia allora la funzione, oggi, della radio: «C’è ancora gente che si collega, anche in Fm, a una determinata ora per ascoltare programmi di contenuto. C’è la relazione dell’ascoltatore con una brand e un’identità fatta di contenuti, suoni e parole che si modulano con declinazioni diverse ma con lo stesso valore di credibilità nell’arco della giornata. La narrazione in audio può essere forte e coinvolgente anche in radio, non solo in podcast».
«A volte mi da fastidio quando nei convegni si dice che il podcast è diverso dalla radio, perché “voi non sapete cosa si può fare con il podcast”», commenta Scaglioni. «È vero che il podcasting sta sviluppando una sua grammatica, ma le basi di un buon racconto audio sono sempre quelle. Da anni sperimentiamo l’inserimento in programmazione radio di prodotti audio nati per il podcast. Lo abbiamo fatto ad esempio in collaborazione con Audible, proponendo nel palinsesto estivo un podcast di Pablo Trincia, Buio. Lo abbiamo fatto con alcune produzioni native podcast di Radio 24, come Io sono libero di Alessandro Milan o L’avventura. Storia di Mogol di Marta Cagnola».
La radio ha inoltre la capacità di offrire una dieta di contenuti pre-impostata. Sulle piattaforme sono gli algoritmi, in base ai gusti profilati degli utenti, a guidare l’ascoltatore nel vastissimo menù di podcast. «In radio – spiega la caporedattrice di Radio 24 – c’è comunque una scelta umana a monte: una persona che propone delle cose che possono piacere all’ascoltatore, ma che non sceglie volontariamente perché non seguono i criteri dell’intelligenza artificiale. Gianluca Nicoletti dice sempre che un prodotto radio per funzionare deve essere anche urticante, cioè deve anche darti fastidio». Insomma, dovrebbe spingere l’utente fuori dalla bolla.
Ale Lippi e il programma Discoball
Un’altra offerta di contenuto narrativo, in Italia, arriva da un’emittente prettamente musicale come M2O. La radio del dancefloor, del clubbing, della musica da ballo. Ma anche all’interno di un’emittente così musicale c’è spazio per il racconto. È il caso di Discoball, il format scritto e condotto da Ale Lippi, speaker e giornalista musicale: un racconto, tra suoni, parole e musica, dal passato al presente, delle città della musica, dei festival leggendari, delle scene elettroniche. Prendiamo una puntata recente, quella dello scorso 7 maggio, intitolata Sono tornati gli anni Novanta.
Ale Lippi parte parlando della rivincita del vintage nei consumi culturali odierni, cifra che caratterizza anche la musica. Il racconto, alternato a una playlist di brani coerente con il concept dell’episodio, è impostato come si ascolta nei podcast divulgativi. Ancora più marcato l’esempio delle puntate di Discoball dedicate alla storia dei dj e dei pionieri della consolle: se si ascolta, ad esempio, quella incentrata su Giorgio Moroder, si coglie bene la scrittura orientata alla narrazione. Che funziona perfettamente nell’ascolto in diretta ma soprattutto in formato on-demand. Ale Lippi, sentito da Qdo, conferma l’obiettivo del programma: «L’idea è proprio questa: unire il mondo della radio, che privilegia la musica, a quello del podcast, dove le parole hanno la precedenza. Un sapiente mix delle due può fare la differenza in una storia».
E poi il dj e conduttore coglie un aspetto portante del suo format: il racconto della musica come filtro per osservare la storia, i costumi, il portato sociologico degli eventi cruciali: «È importante raccontare storie in generale. Le discoteche, i festival, i club e i dj sono soltanto il pretesto che uso per raccontare contesti sociali, politici e culturali. Non sto raccontando la Love Parade, ma la fine della Guerra Fredda e la caduta del Muro. Non sto raccontando Black Coffee, ma la storia dell’Apartheid. Non sto raccontando Ibiza, Londra, Manchester o Parigi, sto raccontando l’evoluzione del costume europeo attraverso una delle sue massime espressioni, la musica. È solo facendo questo switch mentale che è possibile godere a pieno delle storie di Discoball. O almeno, è quello che spero. Una cosa è certa. Quando racconto una storia, essa stessa è più importante di me. L’ego di chi racconta deve essere messo è al servizio del contenuto. Quando accade il contrario secondo me non va bene». Una formula di narrazione che funziona alla radio come nei podcast. Tra differenze e punti di affinità.
La Rai: tra tradizione e format attuali
E ne è una dimostrazione il palinsesto delle radio di “mamma” Rai. La radio di Stato ha anticipato l’ondata di narrazioni sonore cavalcata dai podcast con vari generi, ora scomparsi dalla programmazione. Dal documentario allo sceneggiato, dal reportage alle inchieste, prima della nascita del web e dell’on-demand, le storie passavano solo e soltanto dalla diretta. Ma programmi di storytelling, naturalmente poi riportati nel calderone dei podcast di Rai Play Sound, non sono del tutto scomparsi.
Lo spiega a Qdo Andrea Borgnino: «Penso innanzitutto a Radio Tre per la grande intuizione dell’ex direttore, Marino Sinibaldi, che aveva anticipato l’esplosione di questi formati. Mi viene in mente WikiRadio, che è un podcast: racconta tutti i giorni una storia accaduta quel giorno lì ma in un anno diverso. E poi Wikimusic che racconta storie di musica. Tre soldi usa la narrazione del documentario in un formato molto podcast live. Radio Due è più un’emittente di intrattenimento, ma Lillo e Greg con 610 avevano anticipato alcuni sketch serializzabili, ora presenti con grande successo su Youtube. Radio Uno è molto legata alla contemporaneità: c’era Mangiafuoco, un altro formato che narrava vicende crime, fatto molto bene».
Sul primo canale Radio Rai spiccano esperienze anche come Il mondo Nuovo: va in diretta dal lunedì al venerdì per addentrarsi nelle storie che arrivano dall’attualità filtrate dalla lente dei social, della psicanalisi, dell’impegno ambientale. È condotto Vanessa Giovagnoli che si fa affiancare, in ogni puntata, da cinque esperti diversi: Giovanna Zucconi, Massimo Recalcati, Antonella Viola, Stefano Mancuso e Carlotta Vagnolio. Le loro riflessioni, alternate a pezzi musicali, sono perfette anche per l’ascolto on-demand. E sarebbe un podcast prima dei podcast anche Radio Di Bordo, dove lo storytelling è imperante. Condotto da Raffaele Roselli, è un programma di racconti che sbarcano dal mare. Un esempio? Nella puntata del 17 giugno, la testimonianza arriva dalle spiagge di San Foca, nel Salento, dove va in scena “Io posso”, un progetto di inclusione sociale delle persone con disabilità motorie, specialmente dei malati di SLA. Insomma, interviste e fotografie sonore del mondo confezionate per la diretta e pronte per il riascolto quando e dove si vuole.
Le Città Invisibili della RSI, tra racconti e rumori
Che siano affacciate sul mare o no, a Daniel Bilenko, curatore de Le città invisibili sulla Radio Svizzera Italiana, interessano le relazioni che si intessono tra le città del mondo e i suoi cittadini. Il format, una perla di narrazione radiofonica, vede un narratore esplorare la sua città tra – come recita la sigla – «voci, letture, rumori, racconti, in italiano, nel mondo». La voce accogliente di Bilenko apre le puntate con episodi letterari, frammenti dalla scienza o dall’attualità, immergendo subito l’ascoltatore in una dimensione narrativa. E poi, spazio al narratore. Nel caso della puntata su Verona, un radiodocumentarista e podcaster d’eccellenza, Jonathan Zenti. Una confessione intima, profonda, tormentata dove la voce, sincera e genuina, di Zenti si alterna a suoni di sottofondo, stacchi musicali e storie. Ecco, un podcast!
Qdo ne ha parlato con il curatore del format, Daniel Bilenko: «Nei media succede spesso che la letteratura venga ridotta a interviste con scrittori e scrittrici per parlare della loro ultima opera. Come se fosse tutto una questione di mercato editoriale. Il che va bene, è una prassi giornalistica che permette di aggiornare il pubblico e di offrire riflessioni di qualità. Ma perché non coinvolgere più creativamente e personalmente le autrici e gli autori, e al contempo provare a estendere il concetto di letteratura e di scrittura? E come esplorare o esaltare questo nostro patrimonio mondiale che è lingua italiana? Alla base de Le città invisibili c’è la volontà di sperimentare in questa direzione. E chi se non Vanni Bianconi (responsabile del settore Cultura della RSI, ndr), con il suo percorso poetico e professionale, poteva pensarci e adoperarsi con efficacia? Ci siamo messi a tavolino abbiamo immaginato una mappa del mondo. E poi abbiamo cominciato a pensare a una rosa di traduttori, poetesse, scrittrici e registi: persone che amano raccontare e scrivere storie, insomma, dei creativi abitanti i quattro angoli della Terra che possano raccontare o addirittura reinventare il proprio quartiere, la propria metropoli, con la propria voce, la propria scrittura, i suoni raccolti in strada oppure le musiche preferite. Dopodiché, beh, ci siamo messi a chiamare e spiegare il progetto alle autrici e gli autori che desideravamo coinvolgere. Ovviamente nessuno ha a disposizione uno studio radiofonico professionale. E dunque se si vuole un suono pulito, per evitare riverberi o acustiche strane, basta registrare la propria voce in camera da letto o sotto una coperta. Un metodo artigianale ma molto efficace. Oppure, siccome quasi tutti hanno usato il proprio telefonino, dicevo loro di tenerlo sotto il mento e non davanti alla bocca per evitare di “saturare” o di avere certe consonanti come la “p”… sParate».
Aneddoti e dietro le quinte di una produzione brillante per contenuti, capacità di immersione dell’ascoltatore e abito sonoro. Continua Bilenko: «Con Le Città Invisibili abbiamo spronato a una ricerca narrativa, poetica, riflessiva ed estetica nuova: una letteratura che diventa sensoriale, uditiva, non più fatta di sole lettere che compongono parole, versi e frasi; e dove la voce non è da intendere in senso figurato ma fisico — la propria voce, quella emessa dalle nostre corde in gola, arricchita da evocazioni, atmosfere acustiche, musiche, citazioni… Una costruzione letteraria, dunque, e che a me piace definire supercazzolosamente di “geopoetica sonora”».
«Un approccio, il nostro, sperimentale, ma anche probabilmente figlio dell’epoca pandemica, quella dei confinamenti, di giorni e di notti al chiuso che hanno limitato ma anche spinto verso altre modalità espressive (l’online e a distanza)», aggiunge Bilenko. «Nel mondo italofono proprio durante i lockdown, il mercato del podcast è esploso. Non a caso sono nate piattaforme e podcast company importanti come Rai Play Sound e Chora, con un aumento vertiginoso di produzioni audio “fatte in casa”. Perché il bisogno di esprimersi, di raccontare storie non è sopito, anzi, si è acuito. E perché oggi è possibile tecnicamente e c’è domanda». E la radio risponde a suo modo: con storie in diretta. E poi in podcast.
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